venerdì 17 gennaio 2014

Immobili e lavoro: il governo delle “strette intese” dice no !

Considerazioni di “attualità” sulle sconsiderate imposte sugli immobili, che portano dritte ad altre di carattere più generale sulla modalità delle funzioni di governo nel nostro Paese.
Dato anche il fatto che la nostra è una “Repubblica fondata sul lavoro” si può dare un’occhiata nello specifico alle imposte sugli immobili adibiti ad uso imprenditoriale, commerciale, terziario (quindi attività produttive o professionali, in altre parole lavorative) che gravano, allo stato della legislazione (invero notturna decretazione, nonostante vi sia in materia fiscale una precisa e significativa riserva di legge), sugli stessi anche qualora le condizioni oggettive di mercato dell'area del Comune in cui sono ubicati li renda oggettivamente non utilizzabili, non alienabili e non locabili, quindi totalmente improduttivi, anzi elementi pesantemente passivi nel quadro reddituale delle persone fisiche e giuridiche cui appartengono.
Qualora fosse possibile locarli o alienarli tali beni, visto che in molti casi non servono più all’esercizio dell’impresa o della professione che sono defunte, nonostante le valutazioni di mercato espresse dalla Banca Dati per le stime della Agenzia delle Entrate (vedasi sito) siano per tali immobili spesso notevolmente inferiori a quelli ad uso residenziale, le imposte di locazione o vendita (a seguito di una dissennata e casuale assegnazione di “rendita” catastale) sono a volte moltiplicate rispetto ai primi di molte volte, raggiungendo somme spropositate ed insostenibili, ben al di sopra di ogni ragionevolezza ed esorbitanti ogni principio disciplinante quella che dovrebbe essere la legittima manovra fiscale dello Stato.
Aggiungiamo altre due considerazioni generali.
La prima di ordine politico: facile a dimostrarsi, con dati alla mano, che l'attuale  governo delle “strette ed infime intese”, seguendo ed incrementando la linea suicida del precedente, ha espresso anche in questo modo una politica fiscale sostanzialmente contro l'iniziativa imprenditoriale e professionale ed antitetica rispetto alle proclamate misure di sgravio fiscale sul lavoro, dimostrando ancora una volta di avere una percezione dello stesso deformata, parziale ed anacronistica.
La seconda di carattere giuridico: riguarda, per l'oggetto in questione, il (non) rispetto di alcuni dei più significativi principi costituzionali, di quelli generali in materia di fiscalità pubblica, infine dei principali trattati e patti internazionali contenenti gli essenziali e minimi diritti umani, sociali ed economici.
A volerlo fare, con estrema facilità, si potrebbero citare norme basilari dell'ordinamento italiano, comunitario ed internazionale che il quadro fiscale mantenuto oggi dal governo e negli enti territoriali lede in maniera eclatante, andando ad inficiare, come mai è accaduto prima nella storia della Repubblica, nemmeno nei momenti più drammatici, l'essenza stessa dello stato liberal-democratico, della sovranità, nonché i diritti essenziali del cittadino.
Si tace e si trascura (con propaganda filo-governativa spacciata per informazione) il fatto che nessuna crisi economica e finanziaria, nessuna appartenenza a comunità o reti di interessi internazionali può in alcun modo indurre chi regge in funzione di governo le sorti di uno Stato ad abdicare con tanta facilità alle proprie prerogative di conservazione dell'integrità nazionale e della coesione sociale, fino ad arrivare a considerarsi per “ragioni di politica estera” libero di superare le leggi costituenti, quelle stesse che lo anticipano e lo qualificano come “esecutivo” e quindi semplice componente di un ordinamento in cui la sovranità è espressamente popolare e non dell’apparato, comunque questo si sia venuto a formare e da chiunque (che non sia il corpo elettorale) questo tragga legittimazione.
Nessuna autorità esterna, nessuna relazione comunitaria o di interessi può imporre un assetto di governo   e la politica economica e fiscale interna, a nessuna condizione, e chiunque con funzioni di governo a pressioni esterne dovesse cedere senza opporre dimostrabile resistenza (fino al limite del conflitto per difesa della nazione) si collocherebbe fuori dal quadro legale e in condizione di "tradimento" dei principi costitutivi della Repubblica, un tradimento, si badi, non solo politico.
La nostra Repubblica, così come è scritta nei libri di storia e nel dettato costituzionale ha avuto una matrice resistenziale rispetto ad una criminale invasione fisica e politica del territorio nazionale da parte di forze belligeranti che intendevano imporre regimi antitetici alla democrazia ed al riconoscimento di diritti primari per il cittadino, tra i quali quelli economici; vale la pena ricordare allora che il sangue che fu sparso e la distruzione che ne seguì fu anche causata da scelte ed alleanze altrettanto auto-distruttive di chi a quel tempo aveva avuto in mano le sorti del Paese.
Maurizio Benassuti